Prosegue l’affascinante viaggio tra le zone vinicole italiane organizzato dall’AIS Bari.
Questa volta, l’impegno ed il lavoro della Delegazione barese, è stato quello di condurre i numerosissimi followers presenti il 20 aprile u.s. presso l’Hotel Hilton di Bari dall’altra parte del Bel Paese, in una zona tanto piccola quanto capace di produrre grandi vini: l’Alto Adige.
A raccontare storia e segreti della viticoltura altoatesina è stato il giornalista e docente della scuola Alma di Colorno, Brand Ambassador del Consorzio Vini Alto Adige, enologo Dott. Pierluigi Gorgoni, con il supporto della Sommelier AIS dott.ssa Teresa Garofalo.
La serata è stata anche l’occasione per conferire il meritato diploma al alcuni neo sommelier ed accoglierli a pieno titolo nella grande famiglia dell’Ais Bari.
Ebbene, protetto dalle Alpi che schermano i venti freddi del Nord, riscaldato dal tepore del Mediterraneo, costituito da rocce rosse di origine vulcanica o da calcare dolomitico, l’Alto Adige vanta una storia vinicola le cui prime tracce risalgono al V secolo A.C. : dai Romani ai Bavaresi passeranno poi svariati secoli fino al cruciale anno 1850, allorquando l’Arciduca Giovanni introdurrà l’allevamento di quei vitigni a bacca bianca che ancora oggi sono l’emblema di questa terra: Pinot Bianco, Grigio, Sauvignon Blanc, Riesling, Gewùrztraminer e Sylvaner.
Ma allora, come oggi, è l’altitudine che caratterizza la produzione vinicola altoatesina.
Protese verso il cielo, arrampicate su pendii, curati come splendidi giardini, circondati da meleti, i vigneti dell’Alto Adige, sono impiantati ad un’altitudine che varia dai 200 fino ai 1000 mt. a seconda delle zone.
L’Alto Adige, è infatti, un mosaico di terroir, in particolare suddiviso in sette aree vinicole, tutte note agli amanti del vino, quanto meno nell’immaginario, per bellezza, per paesaggi naturalistici e per castelli: la Bassa Atesina, l’ Oltradige, la Conca di Bolzano, la Valle dell’Adige, Merano, la Val Venosta e da ultimo la Valle Isarco, la più stretta e impervia, dove i vigneti raggiungono le quote più alte e dove sopravvivono solo alcuni vitigni come il Sylvaner, il Muller Thurgau, il Kerner.
Ebbene, a queste altezze, le viti godono innanzitutto di luce; grazie alla sua conformazione geografica, infatti, in questo lembo di terra il sole brilla per trecento giorni, con livelli di pioggia davvero contenuti.
Alla luce si aggiunge poi il vento che con la sua azione rende praticamente inutile qualsivoglia trattamento chimico.
L’altitudine, dunque, consente una forte escursione termica e una maggiore fissazione dei precursori aromatici nella uve: ed ecco l’inconfondibile personalità dei vini bianchi altoatesini, brillanti, puliti e profumatissimi.
Dal ricco e appassionato racconto svolto dal Dott. Gorgoni è emerso un altro affascinante elemento.
L’Alto Adige ha un territorio vitato di ha 5.400 ( pari all’1% dell’estensione nazionale) curato e coltivato da 5.000 vignaioli, il che vuol dire che per ogni ettaro di vigneti c’è una persona che se ne occupa.
Ed ecco, allora, che la viticoltura per gli altoatesini diventa una sorta di gara a creare il vigneto, facendolo diventare un giardino, il più bello.
La maggioranza di questi vignaioli, poi, conferisce le proprie uve nelle dodici cooperative presenti nel territorio, rappresentanti complessivamente il 75% della produzione.
La tanto attesa degustazione, condotta in abile duetto dal Dott. Gorgoni e dalla Dott.ssa Sommelier Teresa Garafalo, ha avuto ad oggetto ben otto prodotti , di cui sei vini bianchi e due rossi.
Ed ecco i vini e quello che hanno espresso nel bicchiere: 1) Sylvaner 2016 Abbazia di Novacella, brillante, con sentori di frutta bianca croccante e viva, note di prato di alta quota, sapido con finale amarognolo; 2) Pinot Bianco 2016 Tenuta Egger Ramer, di splendida luminosità, al naso ha colpito per un intenso sentore di mela, presente anche al palato; 3) Pinot Grigio Riserva Giatl 2014 Peter Zemmer, profumi ampi e speziati, dovuti al suo passaggio in legno, intenso e complesso, al palato rotondo e ampio; 4) Sauvignon Gfill 2016 Cantina St. Pauls, giallo paglierino brillante, intense note di sambuco, pomodoro e pesca bianca al naso, vivida freschezza al palato; 5) Vigneti delle Dolomiti Manna 2015 Franz Haas, unico blend della serata, è stato definito un esercizio d’autore; cinque vitigni, raccolti e vinificati separatamente, hanno espresso al naso una macedonia di frutta tropicale, gusto avvolgente ma fresco e finale agrumato; 6) Gewürztraminer Nussbaumer 2015 Cantina Tramin, qui la frutta è divenuta sciroppata, mista a lavanda e anice stellato, mentre al palato ha colpito per rotondità e morbidezza; 7) St. Magdalener classico Huck am Bach 2016 Cantina Bolzano, il primo rosso in degustazione, prodotto da Schiava, il vino “di merenda” , quello più bevuto, con al naso note ferroso derivate dal terreno argilloso dove viene prodotto, al palto fresco, vibrate e bevibile; 8) Lagrein Grieser Riserva Select 2014 Tenuta Hans Rottensteiner, testimonianza che l’Alto aùAdige produce anche grandi vini rossi, naso complesso di frutti rossi e spezie, equilibrato ed elegante al palato.
Insomma, grande soddisfazione e grande apprezzamento per i vini in “quota”.
E se, come raccontava il grande Luigi Veronelli, “il vino è il canto della terra verso il cielo”, allora non v’è dubbio che i vini altoatesini sono un canto polifonico, intenso e ricco di vibrazioni.
Maria Carmela Santoro
Sommelier Ais Bari