L’evento di apertura della stagione della Delegazione Murgia si è tenuta venerdì 14 ottobre scorso con un’anteprima alla X Edizione di Dolce Puglia dedicata ai moscati, nella suggestiva location del Palazzo Marchesale di Turi, un antico maniero medievale ristrutturato in chiave barocca nel XVII sec. dai Marchesi di Venusio.
Un vino dalle radici storiche antiche che riportano a reminiscenze infantili, di cui si è parlato nelle sue diverse declinazioni. Con ogni probabilità il progenitore di tutte le specie coltivabili preesistenti, il moscato era amatissimo dai greci per sua la caratteristica concentrazione zuccherina ma soprattutto per la capacità migliorativa delle limitate tecniche di vinificazione in voga a quei tempi.
Con l’ascesa della cultura greca in Europa si diffuse anche la presenza del moscato perpetrata fino al Medioevo grazie ai commerci delle Repubbliche Marinare.
Un vitigno che si è adattato con facilità a condizioni pedo-climatiche diverse, di cui si contano numerose varietà classificate. Tuttavia le condizioni essenziali affinché dia risultati ottimali sono la presenza di suoli prevalentemente calcarei, granitici o tufacei.
La carrellata di moscati avuti in degustazione sono prodotti rari, delle perle del panorama enografico italiano, spesso parte di particolari denominazioni di origine di grande successo; un viaggio sensoriale accattivante condotto dal dott. Giuseppe Baldassarre, relatore Ais e Responsabile Eventi Ais Murgia.
Si è partiti da un Moscato d’Asti DOCG Crivella 2011 dell’azienda Mongioia, un moscato atipico, fuori dagli schemi. Con i suoi soli 5% Vol. si esprime per qualità assoluta. Una gemma nel bicchiere, con nuance di pera caramellata al naso, in un contrasto tra floreale, erbe di montagna e tocchi speziati. Una complessità che non ci si aspetta.
Il secondo vino è un moscato rosa altotesino, 2015 IGT di Kaltern Kellerei, siamo nella zona di Caldaro, dove viene chiamato anche Rosenmuskatellen. Bacca scura sul violaceo, che la particolare vinificazione trasforma nelle tonalità del rosa, anche a livello olfattivo. Prezioso, 10% Vol., allevato a pergola, come si addice al contesto del territorio. Vinificazione semplice, 4 mesi sulle fecce fini e affinamento in vasche di acciaio. Non incontra legno.
Stupenda lucentezza, cristallina nel bicchiere, il rosa tenue sfuma al salmone. Dall’anima fortemente minerale, ricorda il petalo di rosa, con sbuffi di note agrumate molto marcate, armonizzando il tutto con delicatezza. Complessità diversa e meno lungo del Moscato di Canelli ma fatto per compiacere, con note di confetto al palato, lampone, leggermente ciliegioso; una sapidità precisa, una giusta freschezza, perfettamente amalgamato, sorso raro.
Il terzo vino viene anch’esso dal Piemonte, grande terra di moscati, Vendemmia Tardiva DOC Loazzolo 2012 di Borgo Maragliano. Un vino raro per il quale lo stesso Gino Veronelli combatté affinché non si perdesse la produzione. Un vero e proprio cru, coltivato sul crinale di una montagna a 450 slm con pendenze fino a 30% dove soffia il Marin, un vento marino che arriva dalla vicina Liguria.
Spettro olfattivo ampio, di frutti disidratati, canditi. Note di pesca, mela sciroppata, albicocca. Si aggiunge una speziatura delicata, con un contrappunto di pepe bianco, zafferano, vaniglia e ancora, suggestioni di cioccolato bianco, amalgama perfetto e finale iodato. Rotondità assoluta al palato, perfettamente contenuta da una spinta acido sapida; la frutta ritorna al retrogusto, finale caramellato, leitmotiv del vino.
Ci spostiamo in Sicilia, in una zona tra le prime d’Italia toccate da questa varietà, il Moscato Passito DOP Noto Lapalicca 2015 dell’azienda Terre di Noto, meno conosciuto per antitesi, è vissuto per imitazione – ma non per questo è da meno – di un vicino più famoso, il moscato di Siracusa.
Concentrato, giallo dorato, pulito, diamantino, profuma con chiari richiami al mare, con idea di cappero, rosmarino, erba della macchia mediterranea. Segue un fruttato di pesca e albicocca. Rotondo al palato, si espande reggendosi su una spiccata acidità e salinità e un tocco nel finale amarognolo. Delicatamente dolce. Palpito sapido nel finale. Un vino che viene dal mare e al mare riporta. Contrasti ben riusciti.
Il mondo dei moscati stupisce anche in Veneto dove si produce il particolarissimo moscato bianco “fior d’arancio”, versione Colli Euganei Passito DOCG 2010 di Montegrande. 13% Vol., allevato a guyot, affinato per 12 mesi in barrique.
Un giallo dorato laminato d’oro. Quasi etereo, seguito da un floreale impressionante di fresia, tiglio, nuance di note agrumate di cedro candito e note speziate, vaniglia, mandorla, torroncino. Carezzevole al palato, vellutato e setoso, con una dolcezza intessuta da un soffio fresco e sapido; idea di mandorla e torroncino nel finale. Poco ha ceduto al tempo. Vino calibrato alla perfezione.
E ancora, Moscato di Terracina del Lazio, DOC Passito 2014 Capitolum di Cantina Sant’Andrea. Un biotipo di moscato bianco quasi scomparso, nell’800 molto esteso, oggi ridotto ad appena 50 ettari. Un clone in controtendenza rispetto ai suoi cugini, perchè predilige suoli argillosi. Raccolto tardivamente, segue una fermentazione in piccoli fusti termo condizionati.
Color ambra dai toni ramati, offre un naso delicato di pesca, albicocca, frutta caramellata; al gusto svela una grande morbidezza, denso e ricco, con note di fico secco, cotognata, agrumi canditi.
Alla fine del Quattrocento le cronache dell’epoca documentavano l’esistenza di un moscato rarissimo, coltivato in Valle d’Aosta – una terra difficile per la viticoltura – limitato per estensione e coltivazione. Parliamo del Muscat petit Grain Fletry 2014 Valle d’Aosta DOC, un moscato bianco simile alle Aoc francesci più famose. Pochissime bottiglie per uve coltivate tra i 700 e 750 mt slm, una viticoltura eroica per un vino di montagna ottenuto da rese di 60 quintali per ettaro, fatto appassire per 50 giorni in fruttai.
Giallo dorato concentrato, sfavillante, nuance eterea che si apre a cera d’api, miele, albicocca disidratata; presente una mineralità splendida che si confonde con profumi di fiorellini di montagna, mela cotogna, note speziate. Aleggia un fresco balsamico, straripante nella sua intensità. Il sorso richiama un vino di montagna, roccioso e verticale, con una dolcezza misurata e un fiotto fresco unico. Un passito diversissimo a 360 gradi dai precedenti, un’altra anima, espressione di un altro territorio dove la componente calcarea del suolo si fa sentire tutta.
Facciamo un salto di quasi mille chilometri per tornare nel Mediterraneo, dove troviamo un vino dalle reminiscenze arabe, Ben Rye, che tradotto significa “figlio del vento”, il Passito di Pantelleria per antonomasia di Donnafugata, un classico. Dai paesaggi montani si passa a quelli panteschi, dove si registra comunque un lavoro certosino, coltivando piccolissimi fazzoletti di terra ad alberello su suoli vulcanici, sferzati dal vento africano. E’ tutto qui il segreto di questo vino: il sole, il mare, il vento.
L’uva è lo zibibbo, che in arabo significa “uva passa”. Da una raccolta differenziata in base alle zone, si procede con l’appassimento delle prime uve agostane, aggiungendole di volta in volta ai mosti delle ultime vendemmie a distanza di quasi un mese.
Luminosità solare, brillante, giallo ambrato di estrema concentrazione. Un naso di rosmarino apre al balsamico con note di timo in una rincorsa iodata, di incenso e spezie orientali. Marino e solare. Ancora note di cappero, frutto in sottofondo. In bocca cambia musica, è guanto di velluto, denso e cremoso, dallo spessore incredibile, irrefrenabile nella sua progressione, mentre il soffio sapido rimane dominante, note di albiccocca disidratata, dattero, suggestioni che si sovrappongono a non finire. Equilibrio di livello eccelso. La sua fama è tutta meritata.
L’ultimo vino in degustazione ha posato lo sguardo su un moscato insolito da uva nera, il Moscato di Scanzo nella versione dell’Azienda Agricola Biava, annata 2011.
La più piccola Docg d’Italia, 31 ettari appena, in territorio di Scanzorosciate. Vino famoso già in periodo medievale, i veneziani lo usavano come moneta di scambio, arrivato sino alla mensa degli zar di Russia. Oggi prodotto in quantità ridicole, per una produzione massima di 60 mila bottiglie annue. Rese bassisime per un vero e proprio cru. Arrampicandosi sulla montagna di questo angolo di paradiso, viene raccolto dal 10 al 14 ottobre seguendo un appassimento di 60 giorni.
Vino impenetrabile dai toni purpurei, spessore estremo, consistenza straordinaria. Particolari note di amarena sciroppata, confettura in contrasto con vene balsamiche, erbe aromatiche che si intrecciano con un evidente violetta appassita, e ancora note di tabacco; spezie dolci, noce moscata, liquirizia, naso infinito che presenta mille volti; etereo, gira ancora intorno a nuance di cacao, cioccolato. Dilaga al secondo sorso, assolutamente sferico, tornando al palato con le spezie aromatiche, chiodi garofano, china, cannella, un mondo di sensazioni. Freschezza indomita, corredato dalla presenza di un tannino delicatissimo. Sapidità e freschezza perfetta, è un vino che ha un equilibrio superiore, destinato a longevità.
Straordinaria e sorprendente questa degustazione si congeda dando appuntamento al prossimo 26 novembre nella stessa location di Palazzo Marchesale, per la X edizione di Dolce Puglia dove si accenderanno i riflettori sui moscati e su tutti i vini dolci di Puglia, protagonisti insieme alla pasticceria regionale di questa incredibile kermesse organizzata da dieci anni dal Delegato Ais Murgia Vincenzo Carrasso e dal suo team.
I volti del moscato, conclude Baldassarre, non si potevano inserire tutti in un’idea, ma il proposito è quello di riservarne tanti altri a futuri appuntamenti.
Rossana Novielli
Ufficio Stampa AIS Murgia