Un emozionante viaggio in un territorio che l’Unesco ha dichiarato patrimonio dell’Umanità!
Questa la “wine experience” che l’AIS Delegazione di Bari, guidata dal Delegato Lello Massa, ha organizzato il 22 marzo u.s. presso l’Hotel Palace di Bari conducendo i partecipanti nella Langha del Barolo.
A rappresentare questo territorio, una azienda di eccezione, testimonianza vivente della tradizione vinicola di questa antica e suggestiva zona piemontese: le cantine Borgogno.
Correva l’anno 1761 allorquando Bartolomeo Borgogno fondava la sua cantina a Barolo, piccolo centro oggi cuore dell’omonima DOCG: prendeva così avvio la storia del Barolo di Borgogno che in breve conquisterà palati e tavole importanti, regali e storiche, fino a quando, nel 1920, la già raggiunta notorietà si arricchirà di una grande intuizione d parte di Cesare Borgogno.
A lui, vigneron illuminato, va il merito di aver “dimenticato” in cantina le migliori annate di Barolo per circa vent’anni e di aver così dato avvio ad una pratica che ancora oggi consente di conservare le bottiglie più pregiate.
Il più recente e significativo cambiamento avviene, poi, nel 2008 allorquando l’azienda viene rilevata dalla famiglia Farinetti, che né è tutt’ora la proprietaria.
Ebbene, la collaborazione in atto tra la Delegazione Ais di Bari e Eataly Bari, resa concreta e attiva grazie all’impegno di Michele Montemurro, Sommelier Ais nonché Direttore presso Eataly Bari, ha consentito di organizzare l’evento e di ospitare, con immenso piacere e orgoglio, Andrea Farinetti, enologo dell’azienda.
Giovane, entusiasta, appassionato e competente, Andrea Farinetti ha conquistato il pubblico con la sua grande voglia di comunicare il territorio della Langa del Barolo.
Accanto a lui il sommelier relatore Dott. Nicola Signore che ha introdotto la serata e condotto, con grande maestria, la degustazione dei vini in assaggio.
Cambiare tutto per non cambiare niente: questa la straordinaria filosofia che la famiglia Farinetti ha inteso attuare nella conduzione dell’azienda, tornando all’antico ma con le conoscenze attuali.
E cosi Andrea Farinetti ha raccontato della Langa del Barolo, immaginandola come una tavola di Giotto, divisa a metà, a destra con la sua parte più antica, costituita di marne calcaree ed argillose, e a sinistra con la sua parte più recente e più ricca di terreni sabbiosi.
E ancora l’enologo di Borgogno ha raccontato dei cinque cru che l’azienda possiede nel Comune di Barolo: e quindi di vasche in cemento risalenti all’epoca di Cesare Borgogno, restaurate e a tutt’oggi utilizzate; e poi di vini prodotti con metodi tradizionali e naturali, con fermentazioni sulle bucce lunghe a volta fino al mese di gennaio, prodotte solo da lieviti indigeni, senza l’aggiunta di alcun enzima, che riposano per lo più nelle vasche di acciaio e, nel caso dei grandi Barolo, in botti grandi di rovere di Slovenia non tostato.
Ebbene, risultato di tanto impegno non poteva che essere costituito da vini di grande identità, carattere, tipicità e tradizione, quali appunto quelli, ben otto, che sono stati proposti in degustazione.
A cominciare dal primo, un esperimento che la famiglia Farinetti ha voluto tentare per la prima volta dopo 250 anni di vita della cantina Borgogno impiantando un vitigno a bacca bianca, ovvero un riesling: sicuramente diverso dalla tipica espressione renana, il “Riesiling Era Ora”, 2015, si è presentato di colore più dorato, franco e minerale al naso, con spiccata sapidità e buon equilibrio, caratteristica quest’ultimo, come spiegato dal Dott. Nicola Signore, tipica dei vini piemontesi.
E’ stata quindi la volta del vino piementose “di tutti i giorni”: il “Dolcetto d’Alba” , 2015, di un atipico colore rubino carico e poco trasparente, al naso ha espresso sentori acerbi e di sottobosco, mentre al palato si è mostrato secco ed astrigente, con la tipica nota di mandorla amara.
A seguire è stato servito il “Freisa”, 2014, vitigno dal cui probabile incrocio con il Barbera è nato il Nebbiolo: vino del convivio e dell’amicizia, alla vista si è presentato di un colore rubino, sprigionando al naso sentori di lampone, rosa e speziatura, al palato un tannino importante ma levigato dalla permanenza in botti grandi per almeno quattro anni.
E’ stato, quindi, servito il “Nebbiolo No Name”, 2012: etichetta nata per protesta contro la esagerata burocrazia del mondo vinicolo, questo vino senza nome, viene prodotto dalle migliori uve Nebbiolo, anticipando quelle che sono le caratteristiche del Barolo: e così al naso si è presentato ricco di confettura, fiori secchi e sciroppo di lamponi, mente al palato il tannino è più rotondo e la morbidezza comincia più evidente.
Ed ecco finalmente il “Barolo Borgogno”, 2012: frutto dell’assemblaggio di tre cru, ha espresso il tipico colore scarico mattone, con un naso incredibilmente complesso e persistente di viola e piccoli frutti rossi, grande morbidezza ed equilibrio al palato.
A seguire il “Barolo Liste” 2011: prodotto dalle uve migliori di tutti e cinque i cru, è grande vino destinato a durare nel tempo che ha colpito per il suo naso avvolgente di cioccolato e spezie e per la importante eleganza al palato.
In crescendo il “Barolo Riserva” 2003: macerazioni prolungate sulle bucce e affinamento in botte grande per 6 -7 anni, lo rendono il barolo della grande tradizione, espressione massima della filosofia dell’azienda, con il suo tipico colore scarico, il bouquet intenso di frutti di bosco, spezie, sentori animali fino ai ferrosi; austero ed intenso al palato, è stato servito dopo alcune ore di decantazione.
E per finire, un regalo con cui l’azienda Borgogno ha voluto salutare i presenti, mettendo a disposizione alcune delle pochissime bottiglie ancora esistenti del Barolo Riserva 1982, un “giovanotto” di appena 35 anni, che ha sorpreso per le sue ancora integre caratteristiche di complessità ed intensità, dimostrando come dedizione e passione vincono il passare del tempo.
Maria Carmela Santoro
Sommelier Ais Bari